È stato firmato dai Paesi dell’OPEC un accordo in cui, per la prima volta negli ultimi otto anni, è stata formalizzata la scelta di tagliare la produzione di petrolio. Conseguenza immediata dell’intesa è stata una notevole crescita del prezzo dell’oro nero. Il fine dell’accordo è quello di arrivare a un esaurimento delle scorte petrolifere globali, oggi elevatissime. Questo scopo è riuscito a mettere d’accordo i tre maggiori produttori – Arabia Saudita, Iran e Iraq – e anche alcune nazioni non appartenenti all’OPEC, come la Russia.
Gli effetti sul mercato non si sono fatti attendere: il prezzo del petrolio è cresciuto del 10% alla Borsa di New York. Un trend che potrebbe proseguire almeno fino a quando i membri dell’OPEC continueranno a mantenere fede all’accordo. Se da un lato, infatti, l’Arabia Saudita e i Paesi a lei alleati nel Golfo, come gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait, hanno sempre rispettato i tagli alla produzione concordati, altri membri dell’OPEC non hanno adempiuto a quanto deciso nei passati accordi, in particolare nei periodi in cui il prezzo del petrolio è sceso.
Da gennaio 2017 la produzione di greggio verrà dunque ridotta di circa 1,2 milioni di barili ogni giorno, secondo quanto già disposto nell’incontro di Algeri dello scorso settembre. Non hanno firmato quest’intesa la Nigeria e la Libia, ma per la prima volta dagli anni Novanta è stato coinvolto nei tagli anche l’Iraq. Anche la Russia ha deciso di aderire alla riduzione della produzione (meno 300mila barili al giorno), che oggi ha raggiunto i livelli più alti conosciuti dopo la caduta dell’URSS. La prossima riunione dell’OPEC è prevista per il 25 maggio 2017.