L’emergenza sanitaria ha imposto all’industria mondiale un’accelerazione verso il digitale e un nuovo modello di intelligence-driven company.
Per capire come il tessuto imprenditoriale italiano stia affrontando la trasformazione, quali problematiche incontri e quali siano i paradigmi per il futuro, abbiamo intervistato Antonella Petrillo e Fabio De Felice, autori del volume “Effetto digitale. Visioni d’impresa e Industria 5.0”.
Autrice di oltre 100 pubblicazioni internazionali in materia di ottimizzazione ed innovazione dei sistemi produttivi, Antonella Petrillo è Professore presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Napoli ‘Parthenope’ e componente del Gruppo di Lavoro Industria 4.0 Manifattur@Campania: Industria 4.0 e della commissione UNI/CT 519 ‘Tecnologie abilitanti per Industry 4.0’ di UNINFO.
Imprenditore attento all’innovazione tecnologica e osservatore delle dinamiche di crescita imprenditoriale nella digital economy, Fabio De Felice è Professore presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Meccanica dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale. De Felice è membro della delegazione italiana al B20 taskforces/Cross-thematic Digitalization e SMEs e autore di oltre 150 pubblicazioni su riviste internazionali e di diversi testi in materia di ottimizzazione ed innovazione dei processi industriali.
Secondo voi come ha reagito il tessuto imprenditoriale italiano alla sfida della digitalizzazione imposta dalla pandemia? E a che punto siamo con il processo di trasformazione industriale in atto?
Possiamo affermare che, come sempre, la nostra capacità di gestire la complessità ci ha aiutato nelle fasi iniziali emergenziali. La repentina migrazione dallo spazio newtoniano a quello digitale è avvenuta in pochissimo tempo ed ha tenuto allo stress test iniziale. Lo stesso non possiamo affermarlo in merito al processo di trasformazione industriale, dal momento che dall’accelerazione registrata agli albori di Industria 4.0 non registriamo la stessa galoppante trasformazione, ma piuttosto assistiamo ad interventi non sistemici ed integrati nel tessuto connettivo industriale. Se non si agisce in maniera sistemica e continuativa sarà impossibile modificare profondamente le nostre realtà produttive.
Come si colloca l’industria italiana rispetto al resto del mondo riguardo all’innovazione digitale?
Dal nostro osservatorio possiamo guardare con fiducia al prossimo futuro ma nel contempo assistiamo a grandi perdite di opportunità che non ci possono lasciare indifferenti. L’Italia in qualità di grande potenza industriale europea e mondiale, deve approfittare di questa posizione per assumere la leadership in alcuni settori che ci hanno visto da sempre all’avanguardia e non giacere sugli allori del podio conquistato negli anni. Abbiamo oggi opportunità irripetibili con un Mezzogiorno che potrebbe crescere a doppia cifra e dare lo slancio a tutto il Paese per conquistare quel ruolo di guida che meritiamo, oltre ad avere tutte le caratteristiche per presidiarlo.
Oggi si parla di Industria 4.0, cosa significa nello specifico per le aziende?
L’Industria 4.0 è un modello di azienda che tende a creare una forte digitalizzazione nei processi industriali. Non è una semplice immissione di tecnologia o automazione tipica degli anni ‘80 in tutti i processi manifatturieri, ma piuttosto un processo che vede una sempre maggiore compenetrazione tra il mondo biologico fisico e digitale.
Quali sono secondo la vostra esperienza gli strumenti da governare per realizzare l’intelligence-driven company?
Come noto, un’organizzazione di tipo IDO – Intelligence Driven Organisation – sfrutta la mole di dati provenienti dall’AI – Intelligenza Artificiale – e lo sviluppo agile per favorire la crescita, l’innovazione, il go to market, oltre l’efficienza dei costi. Una IDO acquisisce segnali digitali in tutti i suoi processi e in tutta la sua attività e pertanto numerosi sono gli strumenti da governare per poterla effettivamente implementare. Volendo individuarne uno che funga da fondamenta per tutta l’organizzazione, possiamo dire che la capacità di innervare il cambiamento in tutti i processi e nella componente umana, cardine di ogni organizzazione, è senza ombra di dubbio la sfida più importante. Questa capacità è prodromica a qualsiasi strategia per arrivare all’implementazione una IDO.
Quali sono le problematiche che incontrano i manager chiamati a gestire la transizione digitale?
Viviamo in un’era in cui analogico e digitale convivono creando un nuovo environment ibrido. Questa forte ibridizzazione, costringe i manager ad aumentare le difficoltà nella gestione del cambiamento, rischiando di far diventare il processo di transizione digitale infinito piuttosto che transitorio, come vorrebbe il nome stesso. Il processo ancora una volta ruota intorno alla centralità dell’uomo in questa transizione. Pertanto il primo problema da affrontare è culturale e trasversale a tutte le risorse dell’organizzazione, ad ogni livello.
Il volume di cui siete autori “Effetto digitale. Visioni d’impresa e Industria 5.0” apre lo scenario sui paradigmi che influenzeranno il prossimo futuro, potete svelarci i principali?
Di certo non abbiamo la sfera di cristallo, ma per le numerose esperienze aziendali corroborate dalle diverse permanenze ed interazioni con l’estero, di sicuro possiamo affermare che assisteremo ad un cambiamento epocale nel momento in cui andremo a sfruttare le enormi capacità di calcolo che ci verranno offerte dal quantum computing. A nostro avviso questa grande potenza di calcolo consentirà di integrare le tecnologie che hanno un livello di maturità maggiore di quanto noi siamo in grado di cogliere. Il problema consisterà, piuttosto, nella nostra capacità creativa necessaria a generare nuove esperienze e nuove applicazioni utili per migliorare il nostro agire quotidiano.
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