Report IPCC: solo una gestione sostenibile del suolo può salvare il Pianeta

12 Agosto 2019
IPCC

Il report IPCC chiama tutti, dai decisori politici ai consumatori, a rivedere il sistema di produzione alimentare e la gestione del suolo

 

L’eccessivo sfruttamento del suolo contribuisce al cambiamento climatico e il cambiamento climatico ha un impatto sulla salute della nostra Terra: è il circolo vizioso descritto dal Report Speciale dell’Intergovernmental Panel on Climate Change presentato oggi a Ginevra. Secondo il report IPCC, i tentativi di limitare il riscaldamento globale tagliando esclusivamente le emissioni prodotte da impianti energetici, produzione industriale e trasporti sono destinati a fallire.

 

Il report è frutto di oltre due anni di lavori: le linee guida sono state stilate a febbraio 2017, durante una delle riunioni dell’IPCC a Dublino. Alla stesura hanno preso parte 107 esperti provenienti da 52 Paesi di tutto il mondo (di cui oltre la metà provenienti da Nazioni in via di sviluppo). Oltre 7 mila le ricerche vagliate e confrontate per redigere lo studio, mentre sono stati poco più di 28 mila i commenti aggiunti dagli esperti chiamati a revisionare il testo in 3 diversi turni di lettura critica.

Agricoltura, silvicoltura e altri usi intensivi del suolo sono responsabili di quasi un quarto (il 23%) di tutte le emissioni di gas serra causate dall’attività umana (il 13% di CO2, il 44% di metano e l’82% di protossido d’azoto tra il 2007 e il 2016). Il report IPCC stima che una percentuale tra il 69% e il 76% della superficie terrestre libera dai ghiacci sia utilizzata dagli esseri umani per nutrire, vestire e sostenere la popolazione in crescita.

Dal 1961 ad oggi, più di 3,2 milioni di chilometri quadrati di terra, un’area equivalente alle dimensioni dell’Australia, sono stati convertiti ad uso agricolo. Nello stesso periodo, i cambiamenti nel sistema alimentare e nei consumi hanno costretto il settore agricolo a virare verso un uso estremamente intensivo del suolo, alimentato dall’impiego di prodotti chimici come fertilizzanti, insetticidi e pesticidi, oltre che da una crescente richiesta di risorse idriche (circa il 70% dei consumi mondiali d’acqua sono destinati all’agricoltura) ed energetiche.

L’agricoltura intensiva compatta il suolo, aumenta l’erosione e riduce la quantità di materiale organico nel terreno. L’uso di fertilizzanti artificiali ha causato il raddoppiamento delle emissioni di protossido di azoto, un potente gas serra, negli ultimi 50 anni.

L’allevamento intensivo di bovini e ovini è, insieme all’agricoltura, una delle principali fonti di emissioni pericolose per il Pianeta: la metà di tutte le emissioni di metano, uno dei gas serra più potenti, proviene da bovini e risaie, mentre la deforestazione e la distruzione delle torbiere causano ulteriori livelli significativi di emissioni di carbonio. I consumi di carne sono raddoppiati nello stesso tempo, causando un conseguente aumento del 70% delle emissioni di metano causate dall’allevamento di bovini e ovini.

Capitolo a parte quello dedicato alla produzione di energia da colture: secondo il report IPCC, le coltivazioni destinate a divenire biocarburanti non possono rappresentare una soluzione sostenibile per contenere il climate change. Se simili coltivazioni dovessero ricoprire un’area globale compresa tra 772 mila e 2,3 milioni di miglia quadrate verrebbe messa a rischio la sicurezza alimentare di tutti, e in particolare delle popolazioni sub sahariane.

La gestione del suolo è un altro dei punti cardine del report: secondo gli esperti dell’IPCC, occorrerebbe fare tutto il possibile per assicurare un management sostenibile dei terreni, in modo che possano assorbire grandi quantità di CO2. Tra il 2007 e il 2016, il 29% di tutto il diossido di carbonio prodotto dalle attività umane è stato assorbito da piante e alberi e stoccato come materiale organico nel terreno.

“La terra già in uso potrebbe alimentare il mondo in un clima in evoluzione e fornire biomassa per le energie rinnovabili – ha spiegato il professor Hans-Otto Pörtner, codirettore del Gruppo II dell’IPCC – ma è necessaria un’azione tempestiva e di vasta portata in diverse aree, anche per la conservazione e il ripristino degli ecosistemi e della biodiversità”.

La gestione sostenibile del suolo è determinante per prevenire gl’effetti catastrofici di eventi climatici estremi. Secondo il report circa 500 milioni di persone vivono attualmente in aree desertificate: “In un futuro con piogge più intense aumenta il rischio di erosione del suolo nei campi coltivati ​​e la gestione sostenibile del territorio è un modo per proteggere le comunità dagli impatti dannosi di questa degrado del suolo e dalle frane – ha spiegato il professor Kiyoto Tanabe, codirettore della Task Force on National Greenhouse Gas Inventories – Tuttavia, ci sono limiti a ciò che può essere fatto, quindi in alcuni casi il degrado potrebbe essere irreversibile”.

L’erosione del suolo causata dall’attività umana è fino a 100 volte più rapida delle capacità rigenerative della natura e il cambiamento climatico accelererà ulteriormente questo trend colpendo aree sensibili come le zone costiere depresse, i delta dei fiumi, le terre aride e le zone coperte da permafrost.

Durante la presentazione stampa del report ha destato molta attenzione il capitolo dedicato alla sicurezza alimentare: secondo gli esperti dell’IPCC, tra il 25% e il 30% del cibo prodotto viene sprecato. Tra il 2010 e il 2016 una percentuale tra l’8% e il 10% di tutte le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo è stato causato dallo spreco di cibo.

I cambiamenti nelle diete alimentari possono aiutare a contenere il degrado del suolo e a migliorare la gestione delle risorse: nel report viene indicato l’impatto sul clima e sul territorio di diverse tipologie di diete alimentari. Un lavoro di stima condotto con particolare attenzione dal momento che, come spiegano gli esperti dell’IPCC, il discorso sulle diete alimentari tocca questioni culturali e specifiche di territori e comunità estremamente diverse tra loro.

Il cambiamento climatico colpisce i cosiddetti 4 pilastri della sicurezza alimentare: disponibilità, accessibilità, utilizzo e stabilità. La riduzione dei terreni produttivi, l’eventuale crescita dei prezzi, la riduzione di nutrienti e della qualità dei prodotti, rischiano di divenire fattori con cui ampie fasce di popolazione, soprattutto nei Paesi tropicali, potrebbero avere a che fare nei prossimi decenni.

“Le diete bilanciate con alimenti a base vegetale, come cereali a grana grossa, legumi, frutta e verdura e alimenti di origine animale prodotti in modo sostenibile in sistemi a basse emissioni di gas a effetto serra, offrono importanti opportunità di adattamento e limitazione dei cambiamenti climatici”, ha spiegato la dottoressa Debra Roberts, codirettrice del Gruppo II dell’IPCC.

Un tema su cui influiscono diversi fattori: dall’istruzione ai valori sociali e culturali, ma anche le decisioni politiche e quelle infrastrutturali (tecnologiche e produttive) come sottolinea il Direttore dell’IPCC, Hoesung Lee.

Di qui il richiamo alla cooperazione internazionale e quella tra tutti i livelli della società: “Il livello di allarme è lo stesso di quello già indicato con il report sulla necessità di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C pubblicato lo scorso ottobre – spiegano gli esperti dell’IPCC– Dobbiamo raggiungere i decisori politici, ma anche la società civile e le giovani generazioni perché abbiamo visto come le pressioni provenienti da queste fasce di popolazione abbiano influenzato i Governi mondiali”.

 

Fonte: Rinnovabili.it

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