Dopo il calo del 2019, nel 2020 la chimica in Italia non andrà oltre la stabilità
Nel 2019 la produzione chimica in Italia ha mostrato un moderato arretramento (-0,4% annuale nei primi 10 mesi, stimato anche per la chiusura d’anno) in un contesto di più marcata contrazione del settore a livello europeo (-0,8%) determinata, in particolare, dal forte calo della Germania (-3,4%). I segnali di ripartenza, intravisti a inizio 2019, si sono rivelati un mero ciclo scorte e la restante parte dell’anno ha confermato una situazione di diffusa debolezza della domanda di chimica. Il settore risente del crollo del settore auto che, nei mesi più recenti, mostra, al più, timidi segnali di assestamento.
Gli unici settori in terreno positivo sono i consumi non durevoli e le costruzioni anche se, in questo caso, i segnali sono discontinui, disomogenei sul territorio nazionale e comunque limitati in relazione alla gravità di una crisi decennale. Il clima di persistente incertezza si traduce in ordini della clientela frammentari e altalenanti con conseguenti difficoltà di programmazione e un significativo aggravio di costo per le imprese chimiche.
Le vendite sui mercati esteri – che negli anni passati avevano rappresentato un solido fattore di traino – risultano in calo (-1,7% in valore nel confronto annuo) guidate dal mercato europeo (-2,8%) che assorbe oltre il 60% delle esportazioni complessive. In presenza di un cambio euro/$ favorevole, le vendite sui mercati extra-europei sono, nel complesso, stagnanti (+0,1%) ma mostrano, nei mesi più recenti, qualche segnale di risveglio.
Le prospettive per il 2020 rimangono dense di incertezze. La chimica subisce il bando delle plastiche monouso al quale si aggiungeranno gli effetti della Plastic tax. Più in generale si moltiplicano iniziative, da parte di singole Istituzioni e operatori, penalizzanti e spesso prive di ogni fondamento scientifico. Preoccupano, inoltre, i rischi di un peggioramento della congiuntura tedesca e le dispute commerciali, che non coinvolgono solo USA e Cina ma si estendono anche all’UE. In particolare, non può dirsi completamente scongiurato il pericolo di dazi sulle importazioni americane di auto.
Anche escludendo un ulteriore deterioramento del quadro internazionale ed europeo, la produzione chimica in Italia, nel 2020, non potrà andare oltre la stabilità. Gli spazi di miglioramento della domanda sono esigui e condizionati al mantenimento di un clima di collaborazione tra Governo e Istituzioni europee. Limitate anche le possibilità di rafforzamento dell’export, data la debolezza dell’industria europea e i rischi di rafforzamento dell’euro.
Aumenta la pressione delle importazioni nella chimica europea
La produzione chimica europea non solo risente del deterioramento della domanda, ma anche di una crescente penetrazione delle importazioni (+5,6% annuale nei primi 8 mesi a fronte del +3,0% dell’export), in particolare nei settori della chimica di base e delle materie plastiche.
L’ambizione europea di essere leader sulle tematiche ambientali deve accompagnarsi ad adeguate misure di politica industriale volte ad accompagnare la transizione verso l’economia circolare e compensare le asimmetrie normative che rischiano di tradursi in una perdita di competitività per la chimica europea.
Anche se in Italia gli effetti dell’aumento della pressione delle importazioni sembrano finora meno evidenti, i rischi sono significativi perché si tratta di una filiera fortemente integrata su scala continentale.
Ricerca chimica e investimenti strategici per promuovere sviluppo sostenibile ed economia circolare
Per l’industria chimica la fase attuale è particolarmente sfidante, ma potenzialmente anche foriera di opportunità, in quanto il peggioramento congiunturale si accompagna a profondi mutamenti dello scenario competitivo, anche in relazione alla transizione verso l’economia circolare.
La chimica in Italia, consapevole delle sfide, evidenzia da anni un impegno nella ricerca crescente e sempre più focalizzato a promuovere uno sviluppo rispettoso dell’ambiente, affrontando con successo le grandi sfide del cambiamento climatico e della disponibilità limitata di risorse. Nel 2017 il personale di R&S ha superato le 8.000 unità, portando la quota sul totale degli addetti a sfiorare l’8% (a fronte di una media manifatturiera del 5%). Secondo l’ultimo Rapporto Greenitaly, la quota di imprese che investono in tecnologie e prodotti a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale è ormai maggioritaria (54%) e di gran lunga superiore alla media manifatturiera (36%). Le informazioni fornite dalle imprese, nell’ambito dell’Annuario Federchimica sulla ricerca per la chimica sostenibile, mostrano chiaramente che l’impegno sul fronte ambientale coinvolge numerosi aspetti e richiede l’impiego e lo sviluppo di un ampio spettro di tecnologie: tra i principali ambiti, figurano il più efficace trattamento delle acque reflue (45% delle imprese partecipanti all’Annuario), la riduzione delle emissioni di gas serra (54%), la chimica da fonti rinnovabili (62%) e le biotecnologie (45%).
Anche le Istituzioni e i cittadini devono essere consapevoli della portata della sfida ambientale. Misure estemporanee senza una chiara visione di politica industriale sono dannose perché scoraggiano gli investimenti. Inoltre, scelte prive di solide fondamenta scientifiche – oltre a compromettere intere filiere industriali – finiscono per alimentare ansie immotivate.
Il caso della Plastic Tax è emblematico, anche se purtroppo non isolato, perché non tiene conto delle funzionalità di questo materiale né del reale impatto ambientale. Non solo gli imballaggi in plastica sono riciclabili e leggeri (limitano, quindi, le emissioni in fase di trasporto), ma hanno un ruolo chiave per garantire condizioni di sicurezza in fase di utilizzo (si pensi al caso dei detergenti) e un’adeguata conservazione degli alimenti. Senza gli imballaggi in plastica, lo spreco alimentare comporterebbe emissioni di gas serra 20, in qualche caso persino 150, volte maggiori.
Fonte: Federchimica.it