“Saper unire le forze è fondamentale non solo per mettere insieme competenze diverse, ma anche approcci diversi. Questo è quello che devono fare ricerca, istruzione e industria” – spiega Maria Laura Bolognesi, docente Unibo neo-eletta Presidente della Divisione di Chimica Farmaceutica della Società Chimica Italiana.
Con lei abbiamo parlato degli scenari della ricerca farmaceutica e del suo impatto sulla ripresa economica, delle differenze tra Italia ed estero, delle competenze necessarie all’industria chimica, di Laboratorio 4.0 e dell’importanza di mettersi al servizio della comunità.
A guidare la Divisione di Chimica Farmaceutica della Società Chimica Italiana per il triennio 2022-2024 sarà Maria Laura Bolognesi, docente di Chimica Farmaceutica al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna.
Fondata nel 1980 da un gruppo di studiosi della disciplina, la Divisione ha lo scopo di riunire i cultori della Chimica Farmaceutica, favorendo la diffusione ed il potenziamento degli aspetti scientifici, tecnologici e didattici di tale disciplina mediante pubblicazioni, congressi, corsi di aggiornamento, gruppi di studio e altre iniziative, anche in collegamento con altri Enti operanti nello stesso settore o in settori affini.
Maria Laura Bolognesi, professoressa ordinaria dal 2017, è anche Coordinatrice del Corso di Dottorato in Scienze biotecnologiche, biocomputazionali, farmaceutiche e farmacologiche. Fa parte del CIRI Scienze della Vita, dove funge da Vice-Direttore. Si occupa di sviluppo di farmaci per malattie incurabili, con particolare riferimento alle malattie neurodegenerative e tropicali dimenticate. Ha recentemente ottenuto un importante finanziamento FISR2019 per lo sviluppo di terapie innovative per la leishmaniosi.
Abbiamo intervistato la Professoressa Bolognesi per approfondire la sua visione sul futuro della ricerca e dell’industria farmaceutica italiana, anche rispetto alla crisi sanitaria, in base alla sua grande esperienza di ricercatrice internazionale e docente universitaria, oggi alla guida della Divisione di Chimica Farmaceutica della Società Chimica Italiana.
Da quanto tempo è membro della Società Chimica Italiana e qual è stato il Suo contributo alle attività dell’Associazione prima della recente nomina?
Da sempre, per i nuovi soci e le nuove socie laureati con 110 e lode la quota di iscrizione alla Società Chimica Italiana (SCI) è gratuita. Anch’io ho potuto usufruire di questa bella opportunità e sono quindi più di 30 anni che faccio parte della SCI, seguendola nelle sue diverse attività.
Quella a cui ho contribuito maggiormente è stata la scuola di Chimica Farmaceutica per dottorandi ESMEC, che si svolge ogni anno ad Urbino. Ho partecipato con grande piacere prima da dottoranda negli anni ’90 e poi ho avuto l’onore di entrare nel Comitato Scientifico nel 2012 per un quinquennio.
L’industria chimica italiana ha risposto in modo straordinario alla pandemia e a Gennaio 2022 segna +8,9% della produzione nei primi 10 mesi sullo stesso periodo dell’anno precedente. Quali sono gli obiettivi della Divisione di Chimica Farmaceutica per il prossimo triennio sotto la Sua presidenza rispetto alla crisi sanitaria in atto e nell’ambito della mission della Società Chimica Italiana?
Questi risultati erano prevedibili. Ho deciso di candidarmi come Presidente perché ho consapevolezza del valore della comunità chimico-farmaceutica italiana e del suo ruolo chiave non solo all’interno del mondo scientifico e della società nazionali, ma a livello europeo e globale.
L’attuale è un momento storico complesso, ma anche ricco di opportunità, in cui gran parte dell’opinione pubblica ha capito che i risultati della ricerca, in particolare quella farmaceutica, sono essenziali non soltanto per far fronte alla crisi sanitaria, ma anche per indirizzare le politiche di sviluppo del Paese.
La pandemia ha anche mostrato l’importanza dell’industria farmaceutica per la salute e per la ripresa economica.
Con i fondi del Pnrr destinati alla Missione Salute (finanziamento complessivo di 15,63 miliardi di euro), il comparto sarà ancora più strategico.
Come forte sostenitrice delle scienze chimico-farmaceutiche, lavorerò per garantire che l’importanza della nostra disciplina risuoni al di là dell’attuale pandemia e abbia un impatto nelle sfide future che attendono il mondo della ricerca e della produzione dei farmaci.
La pandemia sta spingendo la ricerca di nuovi farmaci e vaccini, un campo in cui l’Italia si è dimostrata all’altezza della situazione. Quali sono i punti di forza della ricerca italiana e quali sono secondo Lei gli approcci terapeutici e preventivi più promettenti per uscire dalla crisi?
In campo farmaceutico, la ricerca italiana gode di stima da parte della comunità internazionale e può contare su una tradizione di eccellenza ed un attuale positivo dinamismo.
Per quanto riguarda gli approcci terapeutici o preventivi più promettenti, per fortuna vaccini e farmaci sono già una realtà ed hanno dimostrato di essere efficaci.
Adesso, secondo me, dobbiamo lavorare affinché questi farmaci e questi vaccini siano disponibili per tutti nel mondo
e affinché il costo non sia un ostacolo all’accesso alla terapia.
L’emergenza sanitaria ha favorito un’accelerazione verso la digitalizzazione, anche del laboratorio. Dal suo punto di vista, quanto è importante questa evoluzione e quali caratteristiche dovrebbe avere il laboratorio 4.0? Quali consigli sente di dare ai tecnici di laboratorio in questa congiuntura ricca di sfide?
Oggi, le tecnologie per la ricerca, lo sviluppo e la produzione di farmaci evolvono rapidamente e l’Internet delle cose (IoT), l’Intelligenza Artificiale (AI), la robotica e l’informatica avanzata iniziano a sfidare gli approcci, le pratiche e i modelli tradizionali. In questo contesto, paradossalmente, avere una cultura molto specialistica può essere un limite.
Nel laboratorio farmaceutico 4.0, bisogna sapere la chimica,
ma conoscere anche altri linguaggi.
L’industria cercherà sempre più figure tecniche con un’ampia apertura mentale, in grado di collegare le discipline; con una profonda comprensione del processo di scoperta e produzione di farmaci, ma anche abilità scientifiche di base nell’analisi e nella visualizzazione dei dati e nell’AI.
In base alla Sua collaborazione come Associate Editor dell’American Chemical Society, quali sono le differenze tra fare ricerca in Italia e farla all’estero?
Gli approcci sono fondamentalmente gli stessi, non ho mai notato un grande divario qualitativo. Non sono neanche pienamente d’accordo sul punto che fuori dall’Italia ci sia più senso di indipendenza e libertà nel proprio lavoro.
Purtroppo, non si può dire lo stesso delle condizioni a contorno, quelle che permettono ad una persona di talento di esprimersi al meglio del proprio potenziale e di produrre una ricerca eccellente. Mi riferisco ai finanziamenti e agli investimenti sulle infrastrutture. È tristemente risaputo che la “fuga dei cervelli” dall’Italia è principalmente determinata dalla scarsa disponibilità di lavoro nel settore scientifico, che riguarda il lavoro stabile, ma anche quello su fondi di progetto.
Un punto importante correlato ai precedenti è l’attuazione di pratiche trasparenti e riconducibili agli standard americani e internazionali per i finanziamenti della ricerca.
Penso all’importanza di valutare rigorosamente e selezionare i progetti sulla base del merito,
di incentivare la crescita dei centri di ricerca e di monitorare che
l’impatto della ricerca si traduca in risposte concrete per la società.
Di contro, noi ricercatori e ricercatrici italiani, soprattutto in ambito accademico, dovremmo imparare a spostarci di più. Gli Italiani tendono a lavorare nelle Università dove sono nati e cresciuti scientificamente, mentre il mescolarsi dei saperi è sempre produttivo per la scienza.
Lei è anche Professoressa universitaria di lunga data. Quanto è importante saper unire le forze tra ricerca, istruzione e industria e quali sono le modalità più corrette per farlo?
Io ho fondato la mia ricerca, che è una ricerca inerentemente multidisciplinare, sulle collaborazioni e sul fare rete. Saper unire le forze è fondamentale non solo per mettere insieme competenze diverse, ma anche approcci diversi. Questo è quello che devono fare ricerca, istruzione e industria. È una legge di natura: “il tutto è maggiore della somma delle parti”. Inoltre, talvolta, dimentichiamo che
le sfide terapeutiche della nostra società sono globali e richiedono approcci globali,
che devono coinvolgere tutti gli attori del mondo dell’industria, della ricerca e dell’istruzione.
Le soluzioni ad un problema complesso si raggiungono solo se tutte le parti che lo compongono vi sono integrate e nessuna è esclusa.
È la prima volta che un accademico Unibo viene insignito di questo riconoscimento. Cosa significa per Lei, i Suoi studenti e per l’Università?
Devo ammettere che sono stata molto onorata da questa elezione, e spero che lo siano anche le mie studentesse e i miei studenti. Se sono qui è anche grazie al supporto di tanti di loro e di collaboratori e collaboratrici di Unibo, che hanno contribuito alla mia affermazione professionale.
Soprattutto spero che i nostri e le nostre giovani abbiano capito lo spirito di servizio,
il mettere a disposizione la propria preparazione, in particolare quando si è ricevuto tanto.
A loro, su cui pesano le evidenti difficoltà storiche, dico che bisogna avere forza ed energia per affrontare i cambiamenti, essere pronti a mettersi in gioco e al servizio della comunità, con entusiasmo e determinazione.